Paolo Maserati - Scultore
Ultima modifica 14 aprile 2022
Paolo Maserati nasce nel 1921 a Sarmato da una famiglia di modeste condizioni. Primogenito di nove figli, frequenta la scuola elementare a Sarmato e durante i mesi estivi segue il padre che lavora come cottimista nelle fornaci della zona. Qui pasticciava con l'argilla e sagomava statuine, ocarine, piccoli animali (cavalli), incantandosi in questo gioco e rivelando una certa abilità, tanto che a 15 anni modellerà, in creta cotta al sole, un ritratto di sua nonna, molto ammirato dalla gente del posto. Dopo la quinta elementare comincia a lavorare presso un artigiano marmista di Castelsangiovanni, intagliando e scalpellando marmo, diventando ben presto esperto nella decorazione. Nel 1936 va a Piacenza a lavorare presso un'altra ditta artigiana, dove sviluppa ulteriormente le sue doti di scalpellatore; la scelta di questa nuova sede di lavoro si accompagna all'iscrizione all'Istituto d'arte ''Gazzola'', dove per i primi due anni studia a fondo disegno. La vita è dura, perché il viaggio quotidiano da Sarmato a Piacenza e ritorno in bicicletta è faticoso; solo qualche volta alloggia presso dei parenti. Viene la guerra; nel 1941 parte per la leva militare, nel 1943 si trova a Roma come marconista presso lo Stato Maggiore. Dopo l'otto settembre ritorna a casa e, mentre il fratello Alberto entra nelle formazioni partigiane, Paolo rimane in paese a fare lavoro clandestino: tiene collegamenti d'informazione, intaglia timbri in gesso per truccare documenti e lasciapassare per i partigiani. Intanto trova anche il tempo per disegnare e studiare. Nel 1943 Biggi, bibliotecario a Brera e sfollato a Sarmato, s'interessa ai suoi lavori e porta disegni e foto di ritratti a Brera per mostrarli a qualche insegnante. Maserati è incoraggiato nel suo lavoro, riceve in prestito libri della biblioteca e si dedica allo studio con assiduità; nel 1945 è promosso come privatista al secondo anno a Brera. Sono tempi di miseria e in famiglia un salario è insufficiente; Paolo per i suoi fratelli costruisce addirittura degli zoccoloni con tomaia in tela militare. Egli d'estate lavora allo zuccherificio di Sarmato nel laboratorio analisi fino al 1948; ottiene la borsa di studio Baggi nel 1947, quando comincia ad insegnare al ''Gazzola'', dove rimarrà fino al 1952. Il 1948 è per Maserati l'anno delle grandi fatiche e dei primi riconoscimenti ufficiali. Ottiene la maturità al Liceo Artistico e il diploma a Brera come scultore; ancor più importante nel settembre è l'assegnazione del premio nazionale ''Medardo Rosso'', di pochi soldi ma di gran prestigio. Tutti, anche a Piacenza, si domandano chi sia questo sconosciuto improvvisamente spuntato dall'universo provinciale e lodano in lui le qualità di scultore ''nato''. Addirittura la Tosatto, appassionata cultrice milanese della Commedia, gli propone di scolpire i personaggi danteschi sul fianco di una montagna, progetto tanto grandioso quanto irrealizzabile, per il quale però Maserati presenta un bozzetto in gesso. Maserati sceglie di non trasferirsi a Milano, come sarebbe stato presumibile per un giovane di talento salito alla ribalta; non se la sentiva di fare altri durissimi sacrifici, e poi era radicato nella sua terra e profondamente affezionato alla famiglia. Apre un laboratorio a Sarmato, che poi è una rimessa per attrezzi da giardinaggio e lì lavora generalmente all'aperto, nel giardino antistante. A chi lo va ad intervistare o agli amici (ad esempio Piazza), che entrano stupiti che il campanello non suoni, sorride con ironia, perché pulsante filo e campanello se li è disegnati lui sulla parete. Successivamente nel 1952 apre uno studio a Castelsangiovanni in Via Mazzini e poi si sistema definitivamente in un altro locale sul corso, sul lato opposto al vecchio caffè Roma. Allarga le sue conoscenze a Castelsangiovanni e trova in Capelli, convinto frequentatore dell'ambiente artistico milanese, un estimatore ed un grande amico. Nel 1953 e 1954 tiene due mostre personali al Circolo ''Olubra'', ma si sposta spesso a Piacenza, dove è già conosciuto da qualche anno e dove dal 1948 al 1957 è presente in nove mostre, di cui due personali. Intensifica i suoi contatti con gli artisti piacentini, formando gruppo con Spazzali, Foppiani e Bot, che anche se anziano e da tempo trascurato dall'attenzione critica ufficiale, interessava molto ai giovani artisti per le sue intuizioni culturali e la sua impostazione formale contro corrente. Intanto nel 1952 ottiene la cattedra di disegno alla Scuola Media di Castelsangiovanni. Nel 1956 conosce Tina Brega, che sposa nel 1959, anno in cui si trasferisce a Milano, pur insegnando alla Scuola ''Coppellotti'' di Piacenza. A Milano entra nell'ambiente della Galleria Totti, dove tiene due mostre, e ritorna a frequentare Di Fidio, Tina Conti, Bianca Orsi, Colognato, Zanfretta e conosce Migneco ed altri artisti. Al pomeriggio spesso gira per gallerie d'arte oppure lavora fino a tarda sera nello studio sotto casa. Confidava a Sichel, suo vecchio amico, di aver trovato un'accoglienza un po' fredda nell'ambiente milanese e nelle lunghe conversazioni gli spiegava i suoi decisi propositi di ''sfondare'', lui che con la sua discrezione e la sua semplicità se ne stava sempre appartato. Ora finalmente, non essendo più assillato da difficoltà economiche, intendeva dedicarsi alla ricerca pura. E' infatti di questi anni la tenace e laboriosa ricerca di un linguaggio plastico più essenziale e le sue opere dal 1960 in poi costituiscono in crescendo un repertorio omogeneo, che egli aveva in mente di far conoscere attraverso una grande mostra e che la moglie Tina con cura ed intelligenza ha conservato integro fino ad oggi, evitandone la disgregazione. A Milano sempre in questo periodo era anche in contatto con alcuni architetti per lavori che aveva avuto in commissione per nuovi edifici civili o religiosi; aveva buone prospettive e cominciava a raccogliere buoni frutti. Nel 1965 si ammala gravemente, finché nel gennaio del 1966 la malattia prende il sopravvento su di lui.
Note critiche
I primi anni di attività
Maserati ha sempre avuto l'ansia di completare la sua cultura di base, che ecletticamente si era formato negli anni Quaranta, con studi, lezioni scolastiche ed accademiche, incontri saltuari con l'ambiente artistico milanese, ma ha sempre avuto due certezze: il disegno e l'azione dello scolpire. Uscire da Brera con il voto di dieci decimi in disegno è piuttosto raro; però quello che interessa maggiormente è che la capacità di tracciare efficacemente e di getto l'immagine si rivela come attitudine personale e non è trasmessa direttamente dall'accademia, che si limita a raffinare la strumentazione di base. Il disegno nasce nitido, rapido e sicuro; è un'idea chiara del progetto plastico, come si vede dal carboncino Donna che si lava del 1948. Come nel disegno, l'azione dello scolpire, la foga di creare oggetti sono istintive e prepotenti.
In che misura entrano nella formazione di Maserati soprattutto Marini, Manzù e Messina, i modelli culturali di necessario riferimento a Brera? Marini, che ricercava nell'origine storica della scultura etrusca e romana (volti, nudi, cavalli) il collegamento con la forma moderna, espressionista e cubista; Manzù, che riproponeva l'impressionismo plastico di Medardo Rosso ed un'istanza anti retorica, come dicono Argan e Maltese. Messina, inoltre, titolare della cattedra di scultura, dai bronzi aggraziati ed ispirati a realtà familiari, faceva scaturire la dolcezza dell'emozione poetica, che, in Maserati, emerge forse nei Fanciulli, in cera e in bronzo.
All'inizio della sua attività di scultore Maserati presenta, anche se riadattata alla sua sensibilità realistica e non intellettualistica, una tematica simile e molteplice; e chi mancasse di modelli e di riferimenti non potrebbe essere o diventare artista, sia chiaro. Maserati fece molti ritratti, anche perché gli erano richiesti con insistenza ed egli acconsentiva amichevolmente. Egli però ''sente'' il ritratto come collegamento alla realtà circostante, con la quale misura la sua capacità di scultore: modella il volto, dapprima levigandolo senza lasciare forti ombre di contrasto, poi scalfendolo per dare una particolare espressione, tipica di quel personaggio, del suo carattere e della sua valenza psicologica. Avvolto in una luce movimentata e porosa, il volto appare infine immerso in un tempo indeterminato, distante dall'attualità contingente. E tutti i volti hanno in comune un'emblematica fissità, un irregolare movimento della superficie, lo sferico nucleo della luce. Maserati insomma verifica nel ritratto la sintesi dell'espressione del personaggio ottenuta con la stasi, coglie il carattere psicologico, il particolare determinante del soggetto: l'acutezza penetrante e drammatica di Piazza, l'anima pensosa e sincera di Sichel, la mite serenità di Carla Capelli, la maliziosa lucidità di Gandolfi. Tutto questo dà al ritratto una durata in uno spazio isolato e remoto e crea nell'osservatore un effetto penetrante. Egli ritocca col pollice la superficie o la graffia con la spatola per infrangere minutamente la crosta luminosa, senza però cercare mai l'effetto impressionista o la scomposizione in particelle vibranti per una visione sinottica. Oltre al Nudo seduto del 1949, una figura vagamente impressionista può essere la Donna che si lava, che vinse nel 1948 il premio Medardo Rosso e che è una prova per l'esame di scultura a Brera; ma l'intuizione e lo sforzo totale sono rivolti alla struttura della massa composta in tre tensioni (l'inclinazione del busto, la convergenza delle braccia, la torsione della testa), anche se la forma si espande nello spazio in ampie superfici volutamente mosse e non finite, che riflettono la luce. Il premio, rimasto senza attribuzione per sette anni, era stato precedentemente vinto da Manzù con un torso in cera, chiaramente medardiano.
Le prime opere dunque sono un po' tutte il frutto di una ricerca di espressività (nulla è più espressivo ed emblematico del volto umano) e di luce. Anche l'altorilievo delle Tre donne del 1950, pur seguendo un modulo classico di concatenazione delle braccia e di circolarità, si aggrazia per la sovrapposizione dei piani su cui scivola la luce. Sul soggetto delle tre donne, di cui alla mostra sono esposti altri due bassorilievi, o comunque sul Cavaliere (1948) e sui Nudi (1949), Maserati sperimenta le qualità della linea, quasi come in un guazzo fluente di segni morbidi e soavi, dove la luce si incurva sui dorsi, richiamando certe delicate superfici di Manzù.
Il Cavallo del 1950 e il Gatto del 1953 sono ancora sotto l'effetto della cultura acquisita a Brera: la forma affusolata del Cavallo, la sproporzionata lunghezza e rigidità del Gatto sono però anche gli ultimi segnali dell'ascendente di Marini ed hanno infatti un sapore arcaico, di primordio etrusco, soprattutto il Gatto, aggressivo, teso e dal muso enigmatico di Gorgona. Come il San Martino del 1950, questo Cavallo, perfettamente equilibrato nelle forze ed oggetto che emoziona per i rapporti luminosi, non fu esposto alla Biennale veneziana del 1950, perché non allineato con le avanguardie recenti; di questo Maserati si rendeva conto e forse anche questo severo giudizio lo aiutò ad uscire dall'inerzia scolastica. La constatazione di questa impostazione iniziale oggi si giustifica pienamente nel percorso dello scultore, ma negli anni Cinquanta essa era invece ritorta come un'accusa contro di lui, nel quale si volevano vedere soltanto i modelli Marini o Manzù e non la seria convinzione in Maserati che la scultura fosse una lunga ricerca, con dei punti di partenza precisi dentro i quali innescare un'autonoma evoluzione.
Le tematiche degli anni Cinquanta
Nell'opera di Maserati, accanto alla costante del ritratto, c'è un'altra tematica, abbastanza ricorrente, di ispirazione religiosa, almeno nel primo decennio di attività. In essa fa eccezione la Deposizione del 1949 (proprietà Mons. Castagnetti), eredità culturale delle famose deposizioni alla presenza di un cardinale, che Manzù presentò nel 1940, suscitando polemiche per la presa di posizione contro la retorica religiosa sotto il regime fascista. Invece per Maserati l'argomentazione è generalmente diversa da quella del suo maestro Manzù.
Dalle sue opere eseguite senza una diretta commissione come San Martino (1950), Frate (1953), Fede e Lavoro (1956), Frate (1957, propr. Bozzi) traspare un senso popolare e concreto dei personaggi e dell'idea religiosa. In Fede e Lavoro, il cui bozzetto è alla mostra, davanti al frate ci sono due lavoratori (gli elementi simbolici in alto sono una decorazione che delimita lo spazio), nel San Martino il personaggio sta per compiere un gesto sociale, nel Cristo lavoratore dell'ACLI la figura impugna un martello ed uno scalpello. Questo tipo di rappresentazione non ha una funzione meditativa, illusiva o astratta dell'idea religiosa, ma una rivisitazione storica: la religione valida è quella calata nel lavoro o nel gesto sociale, cammina al fianco dell'uomo comune, parla il suo stesso linguaggio. Un accenno sottilmente autoironico, anzi quasi un'originale citazione, è il Cristo lavoratore, che impugna gli strumenti e vive la situazione di chi l'ha scolpito nella pietra.
Nelle altre opere commissionate emerge invece un'impostazione che non è originale, ma è influenzata dalla committenza, che gli suggerisce una diversa visione: formelle della chiesa di Sarmato (1953), portale e crocefisso di quella di Castelnuovo (1957), lavori per la chiesa milanese di Santa Maria Nascente (1961), stazioni della passione della chiesa di Strà. In questi casi emerge sempre una visione arcaica ed ermetica delle figure, che diventano misteriose immagini di culto, frontali; fanno eccezione le sette formelle sulla passione a Strà (le altre sono di Perotti) in cui la ricerca di forte sbalzo, di piani scenici e di realismo richiamano la svolta plastica della maturità. In ultima analisi, le opere commissionate, stimolo e prodotto di una meditazione astratta, rientrano in un'operazione intellettuale: Maserati si rifà al romanico, perché gli è congeniale, perché è il sostrato autentico della cultura padana; convincimenti che ritornano nelle gravi volumetrie di ascendenza romanica in Perotti. La Madonna con bambino della Collegiata di Castelsangiovanni ed il Crocefisso di Castelnuovo, con quelle simboliche strutture incrociate, sono convincenti citazioni di una madonna dell'Antelami e del Crocefisso in San Savino a Piacenza.
Il fatto che Maserati avesse partecipato a cinque mostre dell'Angelicum a Milano si spiega anche per una semplice ma ricorrente motivazione: soprattutto per gli scultori i tempi erano avari e si vendeva poco ai privati; occorreva non trascurare altri settori.
Dell'avarizia dei tempi e dell'incomprensione dei piacentini, che certo lo lodavano ma non gli acquistavano opere d'impegno, era tanto cosciente che ogni tanto si lasciava sfuggire che era meglio tenere una mostra a Olgiate Olona che a Piacenza. Addirittura nel febbraio del 1955 scrisse un articolo sull' ''Arca'', mensile milanese di arte e letteratura, intitolato ''Come vedere e intendere l'arte contemporanea'', dove critica decisamente il pubblico che rimpiange eternamente la tradizione, perché considera l'arte reperto archeologico o testimonianza di una civiltà sepolta e non vuol capire il presente dell'arte, che è ricerca storica, vissuto, senso attuale delle cose.
Più sciolto da vincoli esterni a lui, si esprime in opere commissionate a soggetto laico. I pannelli a bassorilievo per Bozzi di Castelsangiovanni, Dossena, Ronchini, la Camera del Lavoro di Piacenza hanno tutti in comune una tematica narrativa: figure a cavallo, come in un viaggio o in una caccia, o figure umane al lavoro. Sono decorazioni per ingresso di abitazioni, d'accordo, ma sono costruiti in un racconto semplificato, come una fabulazione popolare di modeste imprese, fuori del tempo; appunto nel tempo mitico della favola. Questa visione del racconto mitico rimarrà in Maserati fino ai Cavalieri del 1964, perché egli si sente anche narratore popolare e non soltanto scultore dell'opera a tutto tondo.
Nel 1960 eseguirà i monumenti ai caduti antifascisti ad Alseno, Pontedellolio e Trevozzo, ricordandosi dell'epoca dei quattro ritratti dei partigiani di Sarmato (1945), ma amplificando il dramma storico della Resistenza come momento celebrativo, dove l'impianto architettonico viene esaltato ed il racconto delle gesta si legge in secondo piano.
Gli anni della nuova ricerca
Ritorniamo agli anni Cinquanta. Nella pittura, anche se con un leggero anticipo, era avvenuta in quegli anni una parabola della forma figurativa tradizionale: le forme classicistiche e monumentali del Novecento e di Valori Plastici, movimenti sorti sotto il regime fascista, si erano ormai esaurite nell'immediato dopoguerra, quando s'imposero il realismo e la ricerca di un linguaggio nuovo. Pur senza schierarsi per questo o quella tendenza, Maserati registrava attentamente i segni di rinnovamento alle Biennali di Venezia, dove si fermava ogni volta un'intera settimana; era cosciente che i cambiamenti artistici al passo con la storia sociale attecchiscono più tardi nella scultura, ma che possono poi dare pieni risultati. Nella formazione di Maserati sono molto importanti gli anni dal 1952 in avanti, quando sceglie di lavorare con i pittori Spazzali, Foppiani e Bot; in Callegari o nel giovane Perotti non vedeva compagni di strada. Soprattutto i primi due pittori avevano cominciato da un paio d'anni una nuova ricerca e con Maserati discutevano insieme di più aggiornate prospettive. Nell'ansia di rinnovamento generale erano coscienti di essere in ritardo: per più di vent'anni nella cultura italiana erano filtrati a stento i suggerimenti europei delle avanguardie ed in particolare i collezionisti piacentini e gli aristocratici d'antico stampo avevano scoraggiato i tentativi di rinnovamento, dato che avevano arricchito le loro raccolte con autori dell'Ottocento (Cabianca, Bruzzi, Ciardi, Ghittoni, Irolli, Boldini e altri rappresentati alla Galleria Ricci Oddi) o di cultura ottocentesca (Sidoli, Giacobbi, Soressi), ammettendo come valida arte contemporanea quasi esclusivamente la virtuosa e multiforme opera di Ricchetti.
Maserati, Spazzali, Foppiani sono convinti che bisogna verificare sulla propria pelle i contenuti delle avanguardie storiche: cubismo, dada, surrealismo. Esse hanno in comune la critica all'impostazione classicistica e tradizionale dell'espressione artistica come ''rifacimento al vero naturale'', ma ciò che sconvolge questi artisti è il cubismo, che essendo ricostruzione della realtà e costruzione di oggetti autonomi da essa, fa tabula rasa dei linguaggi storici, indica nella coscienza il campo di ricerca e proclama l'artista libero da qualsiasi predisposta regola esterna. Anche nella società italiana, non più contadina del dopoguerra è cambiato tutto: l'economia, la condizione umana; è nata la tecnologia, l'automazione; si delinea una netta separazione tra arte e lavoro (che è alienante), tra artista e società (che è parcellizzata dall'industrializzazione ad ogni costo).
Si trattava quindi di mettere in discussione l'operazione artistica: come fare l'opera, per chi? Come Spazzali e Foppiani metodicamente s'incontravano nello studio di Ricchetti e su grandi superfici facevano sperimentazione di linguaggio, così Maserati in un'autocritica laboriosa e costruttiva metteva alla prova la sua tecnica, la sua cultura accademica, le sue tematiche, includendovi anche il ritratto dal vero, eredità della tradizione e limite per la ricerca. Si liberava cioè di una costringente e canonica concezione dell'arte.
Nel 1955 la Maternità segna una svolta nella sua concezione plastica: intuisce che il volume e lo spazio sono la forza e la grammatica della scultura. La materia è solida, il volume assorbe tutta la luce. Ma la scoperta di Maserati è la qualità del materiale: non è più gesso arido e scivoloso, non più cera molle, non più argilla porosa ed emotiva; il legno come materia dura, che scalfire è fatica; da esso bisogna sprigionare la forma dentro rappresa. Insieme a questo cambia il procedimento: prima egli aggiungeva materia, modellava, ritoccava; ora toglie, scava, intaglia e l'oggetto è la fine della fatica. Cambia anche la concezione dell'arte: scolpire significa scavare nel tronco di legno come scavare dentro di sé; l'immagine risultante e sbozzata nel legno corrisponde all'esplorazione profonda e complessa della coscienza. Maternità è un soggetto abbastanza ricorrente, ma qui è realizzato il senso dell'unità naturale tra due sostanze complementari, dove le venature ed i filamenti del legno si continuano nelle due figure. Non imita più il vero, ma crea un oggetto a sé, con una sua autonomia dal reale, con una sua struttura.
Maserati ama e studia la vita, le persone e gli animali e si serve di un materiale organico, il legno, come frammento di vita, tra gli altri inorganici: pietra, bronzo, metalli, plastica ed altri ancora, ''moderni''.
Vediamo l'evoluzione linguistica. Se il Cavallo verso il 1950 rappresentava elasticità, linea, luce, il Bisonte del 1952 e 1953 sta per volume, massa, spazio. E l'animale ha una sua funzione sperimentale: nasce il bisonte greve e massificato, muore il gatto stilizzato e carico di citazioni arcaiche. Il cavallo invece rimane come soggetto, ma perde facilità pittorica e acquista complessità allegorica di forza, intelligenza, tensione, libertà. E' interessante studiare nei vari bozzetti in terracotta di cavalli e bisonti (ormai simili a tori) e nelle prove grafiche l'evoluzione della figura, che diventa sempre più un oggetto-forza, un oggetto-massa, che testimonia fedelmente l'originale percorso dal Bisonte del 1952 al Toro cadente del 1962. La schiena ed il muso arrotondati si solidificano in spigolosi contrappunti, le gambe nervose vengono riassorbite nella sovrapposizione delle masse.
Osservando anche i numerosi studi a china o a carboncino dopo il 1960, il bisonte, animale reso mitico dallo sterminio dei pionieri dell'Ovest americano, emerge nella tematica come oggetto che eccita la fantasia, ma richiede lavoro e precisione nella resa volumetrica. E' squadrato in possenti masse piramidali, dove le rigature del legno, come vene, si sfibrano, a mostrare il dramma dell'agonia di un corpo morente. La luce è pittorica, i contrasti dei piani in ombra bloccano l'estrema tensione e la disperazione della vita uccisa.
Alla meditazione di Maserati sul cubismo come linguaggio e come ricerca interiore, si affiancano la consapevolezza dell'evento storico (il bisonte ferito a morte dai coloni) e l'emozione tragica (l'uomo uccide la vita circostante, la libertà muore, la coscienza è sconvolta). Guernica di Picasso aiuta a capire.
L'interpretazione critica dell'opera di Maserati nel periodo dal 1960 al 1965, pilotata dall'intervento giornalistico di cronaca, prende ancora un abbaglio. Definisce le sue scelte tendenza ad uno stile architettonico, senza peraltro dimostrarlo, e lo sminuisce come scultore in quanto ''vittima'' di un precipitoso cambiamento di rotta; non riesce a cogliere purtroppo la continuità dell'opera e la nuova problematica. Qui invece Maserati decide di semplificare la forma, guardando anche all'arte negra, optando per l'approfondimento dei contenuti, che affiorano nella coscienza ormai affrancata dai condizionamenti della formazione giovanile e dagli imperativi stilistici esterni; anche alcuni moduli neocubisti troppo marcati scompaiono.
Ecco le opere del periodo maturo, in cui si compie la sintesi tra linguaggio d'avanguardia e nuova idea dell'arte. La Maternità (1961), modellata in posizione eretta; il Cristo (1960), quasi levigato, disadorno, velato da una luce avvolgente, il volto abbozzato e inclinato, le gambe che si piegano. La Donna (1962) ed il Toro (1962) che presentano una marcata squadratura in poderosi volumi. Nei numerosi disegni a carboncino traspare la gran lucidità e la notevole capacità tecnica con cui Maserati affronta il tema: i disegni documentano cioè il procedimento della semplificazione dell'oggetto a volumi netti, resi sulla carta con tratti di diversa intensità e tutti con una precisione eccezionale. In alcuni disegni, come nelle Tre donne e nel Toro, porta ad estreme conseguenze la tecnica cubista che valorizza l'immediatezza istintiva della sua mano: l'oggetto è scomposto con precisione nelle parti di volume che lo costituiscono; è un lavoro di anatomia sulla base del quale l'oggetto viene poi ricomposto in scultura.
Altre opere, in cui la massa sbozzata si annoda in volumi e si erge nello spazio, sono Adamo ed Eva e Donna con due bimbi del 1963. La completa fusione delle figure in uno stesso blocco rappresenta l'amicizia profonda tra la donna e l'uomo, tra la madre e i figli, il filo conduttore della vita.
C'è anche un particolare soggetto di memoria giovanile che Maserati si proponeva di approfondire dopo il 1960: quello dei ragazzi che giocano, del quale esistono diversi guazzi e un'opera in legno, molto ben riuscita: Ragazzo, nella posizione di ''saltare la cavallina''. Nei disegni egli studia non tanto la volumetria, quanto l'elasticità, le torsioni, l'equilibrio della figura.
Del 1964 sono La Fiera e i Cavalieri, ricavata nella grande corteccia di un albero secolare trovato nel Po. Questi nudi a cavallo sono un'idea costante in Maserati: questo loro dirigersi verso qualcosa di lontano è un viaggio in un tempo favoloso, dà il senso della caratteristica peculiare dell'uomo: muoversi, camminare oppure cavalcare. Il viaggio è l'allegoria della vita, è il favoloso e tragico muoversi dell'umanità, della civiltà, della storia.
Allo stesso modo la Fiera, dove il titolo e la forma dei cappelli informano ironicamente che cinquant'anni prima si andava a cavallo e si andava alla fiera in un giorno dell'anno, in cui la curiosità e il divertimento rendevano felici le persone. Mondo tramontato, riapparso nella memoria. Ma anche qui c'è allegoria: la vita è interpretata come viaggio, in un movimento circolare perpetuo, con ciclici ritorni; le figure si muovono in una ritmica, remota azione, orientata anche dai regolari solchi d'ombra della tesa dei cappelli.
Occorre ora considerare le piccole opere in terracotta che Maserati costruiva negli ultimi anni, dal 1963 al 1965. Esaurito e realizzato il discorso sul bisonte, come oggetto pienamente plastico e come segno mitico, egli riprende nel cavallo la possibilità di parlare più da vicino della condizione umana e nel medesimo tempo trova la possibilità di muovere e di mettere in tensione la volumetria pesante ed immobile del bisonte.
Il cavallo, con la sua forza, la sua intelligenza e la sua affezione all'uomo, è l'animale più sensibile e più utile tra quelli storicamente presenti nella vita domestica; il suo ferimento è uno spettacolo drammatico, che tocca sentimenti profondi. Se si tiene questo referente, si vede che è cambiato qualcosa sulla strada di Maserati: vede cavalli feriti, che si contorcono o cedono sulle gambe posteriori, che soffrono. Non troviamo più animali belli da vedere nella perfetta e unitaria descrizione della luce, come negli anni precedenti. Nel cavallo che si contorce e cade Maserati vuole rappresentare l'angoscia della vita, la sofferenza come destino, la vita valida che viene stroncata. Forse ha un presentimento sul suo breve futuro, forse un'immagine di se stesso colpito nella sua vitalità.
I Cavalli, guardando anche al guazzo preparatorio, sono del 1965, quando la malattia cominciò ad eroderlo. Essi esprimono con chiarezza la sintesi del suo lungo e faticoso lavoro alla ricerca dell'opera plastica totale, dove non esistesse confine tra forma e contenuto, tra linguaggio e idea originaria. L'attività di Maserati si arresta bruscamente in queste piccole opere di ampio significato, che probabilmente lo avrebbero portato ancora più nel profondo della coscienza umana ed artistica; ora spetta agli altri trarre insegnamenti e continuare.
Stefano Pronti